lunedì 2 luglio 2018

Estratto dalla lettera di Royce White a NBA (National Basketball Association) e NBPA (National Basketball Players Association) del 22 giugno 2018:


Per quelli di voi che non mi conoscono, è necessario che io vi chiarisca il contesto e sfati dei miti prima di continuare. Questa è una fotografia del mio tragitto. Nel 2012 sono stato scelto nel draft dagli Houston Rockets. Sono arrivato nella NBA con una totale trasparenza della mia pre-esistente diagnosi di Disturbo d’Ansia Generalizzato (GAD). L’incapacità di controllare la mia ansia non è stata certamente la causa del “deragliamento della mia carriera”. La mia scelta di vivere con trasparenza, collaborazione e sicurezza, lo è stata.


Durante l’avvicinarsi alla mia prima stagione nella NBA, io e Houston iniziammo a discutere su come creare un ambiente che mi potesse supportare. Durante le discussioni con Houston, il mio team di manager ed io rimanemmo sorpresi nello scoprire che non esisteva alcuna politica formale per la salute mentale. Ho tentato di formalizzare un accordo scritto che modificasse le politiche (comportamentali) esistenti al fine di includere la salute mentale. La proposta da noi avanzata includeva tutti i dipendenti della squadra, non solo i giocatori. Quella proposta fu tacitamente negata.



Fu durante questo periodo che nacque la storia che io fossi semplicemente “AWOL” (assente ingiustificato). Questo fu soprattutto frutto del lavoro di Daryl Morey e, forse, di altri dei quali non so nulla. Quella storia non era vera e mi ha spinto verso Twitter ed altri mezzi di comunicazione per potermi scagionare. Intervista dopo intervista, ho reso ben chiaro il fatto che la nostra preoccupazione riguardava il riconoscimento, la consapevolezza ed il protocollo della salute mentale. Le mie preoccupazioni furono trasformate in insinuazioni che la malattia mentale era anomala e difficile da identificare. In molti modi ciò disattendeva la legittimità dell’intero campo delle malattie mentali. La mia idea che le malattie mentali fossero un’epidemia fu ridicolizzata e definita “radicale”.

Nel giro di due settimane ho iniziato a vedere gli effetti negativi che la conversazione avrebbe avuto sulla collettività. Un argomento che era già pericolosamente tabù era ora alla merce’ del mondo degli organi d’informazione.


Nelle conversazioni interne, coloro che parlavano per conto della NBA hanno comunicato che la principale paura e rifiuto della nostra politica per la salute mentale era motivata dal fatto che avrebbe creato un possibilità senza limiti per i giocatori di simulare malattie mentali.
Ero totalmente in disaccordo con quell’argomentazione. Se tu hai la volontà di essere incluso in un gruppo demografico che è universalmente stigmatizzato e ignorato simulando una malattia mentale, allora, tu probabilmente hai una malattia mentale. Ciò è poi ridicolo su un secondo livello: i dottori specializzati sono la migliore risorsa per controllare la pianificazione ed il trattamento delle malattie mentali ed anche scoprire qualsiasi simulazione.
E’ semplicemente pericoloso dare autonomia decisionale sulle malattie mentali ad allenatori, general manager, o proprietari che sono completamente ignoranti sull’argomento delle malattie mentali. Nonostante il mio disaccordo con la premessa delle “finte”, noi continuammo la nostra conversazione che a quel punto era diventata altamente contenziosa.

Sembrava che Houston e la NBA si fossero molto arrabbiati che io avessi portato la controversia su Twitter, ma c’era ancora più frustrazione sul fatto che i loro dottori non stessero al loro stesso gioco. Tutti i dottori erano d’accordo, e potevo vedere come ciò infastidisse i loro superiori. Io e molti altri coinvolti contestammo l‘affermazione che il mio viaggiare in autobus alle partite potesse essere considerata una violazione del tetto salariale da parte della NBA. Che disonestà, quella è stata una disgustosa dimostrazione di doppio gioco burocratico. Ed era ancora più preoccupante che noi temessimo la possibilità che gli Houston Rockets stessero usando la “Lega” come pretesto per I propri malumori.

Gli Houston Rockets accettarono di fornire un autobus solo dopo che io gli dissi che avrei aperto un contenzioso se la mia condizione medica preesistente non fosse stata inserita sotto la politica dei salary cap, (anche se non esisteva alcuna politica di salute mentale per la stessa condizione). I miei medici di famiglia, il personale medico degli Houston Rockets e quelli della NBA hanno visto questa mancanza di consapevolezza della salute mentale come problematica.

Concordarono anche sul fatto che anche se il problema era serio, era in qualche modo risolvibile. Erano ottimisti che con un po’ di dedizione e lavoro di squadra una politica poteva essere creata e che essa potesse essere estremamente benefica a tutti i giocatori e staff della Lega intera. In aggiunta a quel beneficio, io vedevo il potenziale di un impatto più grande e positivo nel mondo intero. Molti hanno riportato una storia creata da Daryl Morey circa i tentativi di Houston di “piegarsi in due” per me. Non vera. Se tu sei coinvolto in una conversazione medica e non rimetti le tue inettitudini ai tuoi esperti di medicina, non ti stai piegando in due per nessuno, neanche se sei in buona fede. Nonostante gli Houston Rockets fossero fortemente contrari a qualsiasi consiglio medico, ci concessero qualcosa: una promessa verbale che durante la stagione estiva del 2013 ci avrebbero effettivamente aiutato a formulare una politica per la salute mentale.

Quando la stagione estiva arrivò, io fui scambiato coi Philadelphia 76ers e la politica non fu mai più menzionata. La mia affermazione che una politica non esistesse è stata verificata negli ultimi 5 anni da una varietà di persone all’interno della NBA, inclusi giocatori, allenatori, General Manager, ex dottori di squadre e psicologhi. La direttrice della National Basketball Players Association ha recentemente descritto l’attenzione al tema della salute mentale come “INGENUO”.


Per qualche ragione la maggior parte media ha continuato a sminuire quell’esatta realtà. Ed io sono stato etichettato come “Il ragazzo da Iowa State che non poteva giocare perché non poteva volare”. Sono stato scartato da alcuni nella lega come un “caso di testa” a causa dell’astio e della mia audacia nel combattere lo status quo (o dalla mia generale propensione a pensare in maniera critica). Io voglio sperare che a questo punto la maggior parte di voi sappia quanto la storiella del volare fosse falsa ed ancora lo è. Ma chiedetevi innanzi tutto come questa storia fosse stata cosi dettagliatamente disseminata e propagata. Se questa è effettivamente la prima volta che leggete di me, vi chiarirò questo ancora una volta: A ME NON PIACE VOLARE. Non lo nascondo, ma ho sempre sostenuto che IO SONO CAPACE DI VOLARE quando è necessario e nella maggior parte dei casi senza alcun incidente. L’unica richiesta relativa ai viaggi che io abbia mai fatto era di avere l’opzione di viaggiare in autobus alle partite quando necessario e se possibile (in aggiunta quella soluzione era stata anche suggerita ed era stata oggetto di accordi da tutti i professionisti di medicina coinvolti, inclusi quelli della NBA e degli Houston Rockets). Durante tutta la mia carriera ho giocato in numerose partite per le quali è stato necessario viaggiare in aereo. Ho persino giocato partite nelle quali ho subito attacchi di panico. Non ho mai dovuto lasciare il campo a causa di un attacco di ansia (non dico che quella non sia una possibilità e non dò alcun giudizio su quelli che lo facciano) La storia di Kevin Love ha confermato che il panico non ti impedisce di sostenere una prestazione.



All’inizio della stagione 2015 sono stato ostracizzato per la mia propaganda. Questo era evidente ed anche ammesso verbalmente. Squadra dopo squadra, mi sentivo dire di essere un giocatore con abilità da All-Star ma che ero a rischio di diventare una distrazione. Guardando al passato il semplice fatto che sostenevo la salute mentale era visto come una distrazione e riaffermava quanto fosse urgente una riforma e quanto ancora lo sia. Più tardi, nel 2015, ho scritto voi della NBA, ed ancora vi ho chiesto se si potesse lavorare insieme collaborando per affrontare propriamente l’attitudine e i comportamenti nei confronti della salute mentale all’interno della comunità della NBA.

Sentivo fortemente che insieme potevamo raggiungere un processo trasformativo attraverso le esperienze come la mia e di molti altri, giocatori e non. Ancora una volta, ci sono stati un numero di professionisti della salute mentale da tutto il mondo che hanno espresso prontezza a colmare il vuoto tra folklore e scienza. 3 anni dopo, il primo riconoscimento scritto di salute mentale è entrato nel contratto collettivo di lavoro (CBA). Una parte di me era molto orgogliosa di quel progresso, ma non sono mai stato soddisfatto delle vittorie morali, l’altra parte di me sentiva che io e molti altri (l’umanità intera) eravamo stati schiaffeggiati da questo gesto. Il nuovo linguaggio nel contratto collettivo diceva fondamentalmente “noi troveremo soluzioni alla salute mentale in futuro”. Non è al contempo arrogante e condiscendente rinviare una politica dove tu sei 20 anni indietro?

Oggi noi affrontiamo ancora maggiori distorsioni. L’incentivo verso la superficialità è stato esacerbato. La prosperità economica, la visibilità del marchio e la partecipazione dei fans nella NBA è al livello più alto della storia. Noi siamo tutti immersi in una costante cascata di un avanzamento tecnologico unico e di connettività sociale. Io continuo a temere che il percorso verso una vera comprensiva politica sulla salute venga rallentato.

 “La pietra che gli edificatori avevano rigettata è divenuta la pietra angolare
Libro dei Salmi capitolo 118, versetto 22

Royce White:
“My game has more it wants to say than my pen does”
“Il mio gioco ha molto più da dire che la mia penna voglia”

Il testo integrale in inglese è disponibile all’indirizzo https://www.thelastrenaissance.com/blogs/long-past-overdue-mental-health-nba