Per quelli di voi che non mi conoscono, è necessario che io vi chiarisca il
contesto e sfati dei miti prima di continuare. Questa è una fotografia del mio
tragitto. Nel 2012 sono stato scelto nel draft dagli Houston Rockets. Sono
arrivato nella NBA con una totale trasparenza della mia pre-esistente diagnosi
di Disturbo d’Ansia Generalizzato (GAD). L’incapacità di controllare la mia
ansia non è stata certamente la causa del “deragliamento della mia carriera”. La
mia scelta di vivere con trasparenza, collaborazione e sicurezza, lo è stata.
Durante l’avvicinarsi alla mia prima stagione nella NBA, io e Houston
iniziammo a discutere su come creare un ambiente che mi potesse supportare. Durante
le discussioni con Houston, il mio team di manager ed io rimanemmo sorpresi nello
scoprire che non esisteva alcuna politica formale per la salute mentale. Ho
tentato di formalizzare un accordo scritto che modificasse le politiche
(comportamentali) esistenti al fine di includere la salute mentale. La proposta
da noi avanzata includeva tutti i dipendenti della squadra, non solo i
giocatori. Quella proposta fu tacitamente negata.
Fu durante questo periodo che nacque la storia che io fossi semplicemente
“AWOL” (assente ingiustificato). Questo fu soprattutto frutto del lavoro di
Daryl Morey e, forse, di altri dei quali non so nulla. Quella storia non era
vera e mi ha spinto verso Twitter ed altri mezzi di comunicazione per potermi
scagionare. Intervista dopo intervista, ho reso ben chiaro il fatto che la
nostra preoccupazione riguardava il riconoscimento, la consapevolezza ed il
protocollo della salute mentale. Le mie preoccupazioni furono trasformate in
insinuazioni che la malattia mentale era anomala e difficile da identificare.
In molti modi ciò disattendeva la legittimità dell’intero campo delle malattie
mentali. La mia idea che le malattie mentali fossero un’epidemia fu
ridicolizzata e definita “radicale”.
Nel giro di due settimane ho iniziato a vedere gli effetti negativi che la conversazione
avrebbe avuto sulla collettività. Un argomento che era già pericolosamente tabù
era ora alla merce’ del mondo degli organi d’informazione.
Nelle conversazioni interne, coloro che parlavano per conto della NBA hanno
comunicato che la principale paura e rifiuto della nostra politica per la
salute mentale era motivata dal fatto che avrebbe creato un possibilità senza
limiti per i giocatori di simulare malattie mentali.
Ero totalmente in disaccordo con quell’argomentazione. Se tu hai la volontà
di essere incluso in un gruppo demografico che è universalmente stigmatizzato e
ignorato simulando una malattia mentale, allora, tu probabilmente hai una
malattia mentale. Ciò è poi ridicolo su un secondo livello: i dottori
specializzati sono la migliore risorsa per controllare la pianificazione ed il
trattamento delle malattie mentali ed anche scoprire qualsiasi simulazione.
E’ semplicemente pericoloso dare autonomia decisionale sulle malattie
mentali ad allenatori, general manager, o proprietari che sono completamente
ignoranti sull’argomento delle malattie mentali. Nonostante il mio disaccordo
con la premessa delle “finte”, noi continuammo la nostra conversazione che a
quel punto era diventata altamente contenziosa.
Sembrava che Houston e la NBA si fossero molto arrabbiati che io avessi
portato la controversia su Twitter, ma c’era ancora più frustrazione sul fatto che
i loro dottori non stessero al loro stesso gioco. Tutti i dottori erano
d’accordo, e potevo vedere come ciò infastidisse i loro superiori. Io e molti
altri coinvolti contestammo l‘affermazione che il mio viaggiare in autobus alle
partite potesse essere considerata una violazione del tetto salariale da parte
della NBA. Che disonestà, quella è stata una disgustosa dimostrazione di doppio
gioco burocratico. Ed era ancora più preoccupante che noi temessimo la possibilità
che gli Houston Rockets stessero usando la “Lega” come pretesto per I propri
malumori.
Gli Houston Rockets accettarono di fornire un autobus solo dopo che io gli
dissi che avrei aperto un contenzioso se la mia condizione medica preesistente
non fosse stata inserita sotto la politica dei salary cap, (anche se non
esisteva alcuna politica di salute mentale per la stessa condizione). I miei
medici di famiglia, il personale medico degli Houston Rockets e quelli della
NBA hanno visto questa mancanza di consapevolezza della salute mentale come
problematica.
Concordarono anche sul fatto che anche se il problema era serio, era in
qualche modo risolvibile. Erano ottimisti che con un po’ di dedizione e lavoro
di squadra una politica poteva essere creata e che essa potesse essere
estremamente benefica a tutti i giocatori e staff della Lega intera. In aggiunta
a quel beneficio, io vedevo il potenziale di un impatto più grande e positivo
nel mondo intero. Molti hanno riportato una storia creata da Daryl Morey circa i
tentativi di Houston di “piegarsi in due” per me. Non vera. Se tu sei coinvolto
in una conversazione medica e non rimetti le tue inettitudini ai tuoi esperti
di medicina, non ti stai piegando in due per nessuno, neanche se sei in buona
fede. Nonostante gli Houston Rockets fossero fortemente contrari a qualsiasi
consiglio medico, ci concessero qualcosa: una promessa verbale che durante la
stagione estiva del 2013 ci avrebbero effettivamente aiutato a formulare una
politica per la salute mentale.
Quando la stagione estiva arrivò, io fui scambiato coi Philadelphia 76ers e
la politica non fu mai più menzionata. La mia affermazione che una politica non
esistesse è stata verificata negli ultimi 5 anni da una varietà di persone
all’interno della NBA, inclusi giocatori, allenatori, General Manager, ex
dottori di squadre e psicologhi. La direttrice della National Basketball
Players Association ha recentemente descritto l’attenzione al tema della salute
mentale come “INGENUO”.
Per qualche ragione la maggior parte media ha continuato a sminuire
quell’esatta realtà. Ed io sono stato etichettato come “Il
ragazzo da Iowa State che non poteva giocare perché non poteva volare”. Sono stato scartato da alcuni nella lega come un “caso di
testa” a causa dell’astio e della mia audacia nel combattere lo status quo (o
dalla mia generale propensione a pensare in maniera critica). Io voglio sperare
che a questo punto la maggior parte di voi sappia quanto la storiella del
volare fosse falsa ed ancora lo è. Ma chiedetevi innanzi tutto come questa
storia fosse stata cosi dettagliatamente disseminata e propagata. Se questa è
effettivamente la prima volta che leggete di me, vi chiarirò questo ancora una
volta: A ME NON PIACE VOLARE. Non lo nascondo, ma ho sempre sostenuto che IO
SONO CAPACE DI VOLARE quando è necessario e nella maggior parte dei casi senza
alcun incidente. L’unica richiesta relativa ai viaggi che io abbia mai fatto
era di avere l’opzione di viaggiare in autobus alle partite quando necessario e
se possibile (in aggiunta quella soluzione era stata anche suggerita ed era stata
oggetto di accordi da tutti i professionisti di medicina coinvolti, inclusi
quelli della NBA e degli Houston Rockets). Durante tutta la mia carriera ho
giocato in numerose partite per le quali è stato necessario viaggiare in aereo.
Ho persino giocato partite nelle quali ho subito attacchi di panico. Non ho mai
dovuto lasciare il campo a causa di un attacco di ansia (non dico che quella
non sia una possibilità e non dò alcun giudizio su quelli che lo facciano) La
storia di Kevin Love ha confermato che il panico non ti impedisce di sostenere
una prestazione.
All’inizio della stagione 2015 sono stato ostracizzato
per la mia propaganda. Questo era evidente ed anche ammesso verbalmente.
Squadra dopo squadra, mi sentivo dire di essere un giocatore con abilità da
All-Star ma che ero a rischio di diventare una distrazione. Guardando al passato
il semplice fatto che sostenevo la salute mentale era visto come una
distrazione e riaffermava quanto fosse urgente una riforma e quanto ancora lo
sia. Più tardi, nel 2015, ho scritto voi della NBA, ed ancora vi ho chiesto se
si potesse lavorare insieme collaborando per affrontare propriamente
l’attitudine e i comportamenti nei confronti della salute mentale all’interno
della comunità della NBA.
Sentivo fortemente che insieme potevamo raggiungere un
processo trasformativo attraverso le esperienze come la mia e di molti altri,
giocatori e non. Ancora una volta, ci sono stati un numero di professionisti
della salute mentale da tutto il mondo che hanno espresso prontezza a colmare
il vuoto tra folklore e scienza. 3 anni dopo, il primo riconoscimento scritto
di salute mentale è entrato nel contratto collettivo di lavoro (CBA). Una parte
di me era molto orgogliosa di quel progresso, ma non sono mai stato soddisfatto
delle vittorie morali, l’altra parte di me sentiva che io e molti altri (l’umanità
intera) eravamo stati schiaffeggiati da questo gesto. Il nuovo linguaggio nel
contratto collettivo diceva fondamentalmente “noi troveremo soluzioni alla
salute mentale in futuro”. Non è al contempo arrogante e condiscendente
rinviare una politica dove tu sei 20 anni indietro?
Oggi noi affrontiamo ancora maggiori distorsioni.
L’incentivo verso la superficialità è stato esacerbato. La prosperità
economica, la visibilità del marchio e la partecipazione dei fans nella NBA è
al livello più alto della storia. Noi siamo tutti immersi in una costante
cascata di un avanzamento tecnologico unico e di connettività sociale. Io
continuo a temere che il percorso verso una vera comprensiva politica sulla
salute venga rallentato.
“La pietra che gli
edificatori avevano rigettata è divenuta la pietra angolare”
Libro dei Salmi capitolo 118, versetto 22
Royce
White:
“My
game has more it wants to say than my pen does”
Il testo integrale in inglese è disponibile all’indirizzo
https://www.thelastrenaissance.com/blogs/long-past-overdue-mental-health-nba